Domande Frequenti

In questa pagina trovi alcune delle domande che riceviamo più spesso.
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Controllo statistico

Le maschere facciali ad uso medico sono Dispositivi Medici di Classe 1, e come tali la loro immissione ordinaria sul mercato passa attraverso la marcatura CE ma non c’è obbligo di coinvolgimento di un Organismo Notificato o NoBo (Notified Body) come è invece previsto per altri dispositivi medici.

La marcatura CE quindi è applicata sotto la piena e totale responsabilità del fabbricante (se ha sede nell’Unione Europea) o del mandatario stabilito nell’Unione Europea se il produttore è extra-UE. Ciò non toglie che il fabbricante o il mandatario possano chiedere un supporto ad un NoBo per accertarsi che la maschera e il relativo sistema di produzione siano conformi alle disposizioni vigenti, ma questo non è obbligatorio.

E’ invece obbligatorio rispondere ai requisiti tecnici ed organizzativi, o in alternativa (soluzione assai rischiosa!) mettersi in grado di dimostrare che quanto messo in atto fornisce livelli di sicurezza non inferiori a quanto previsto dalle norme.

Le maschere facciali ad uso medico sono Dispositivi Medici (DM) e come tali rientrano nella competenza dell’Istituto Superiore di Sanità; il loro scopo è proteggere chi si trova di fronte a chi indossa la maschera qualora questi fosse infetto.  In condizioni normali la loro produzione e immissione in commercio sono regolamentate dalla Direttiva Dispositivi Medici (93/42/CEE) o dal Regolamento Dispositivi Medici (UE N. 2017/745). Nel periodo di emergenza COVID-19 il Governo Italiano ha aperto una possibilità in deroga la cui gestione è affidata all’ISS.

L’INAIL è invece competente sulle maschere (o semimaschere) filtranti rispondenti alla norma EN 149, che rigaurda appunto le maschere da utilizzare come DPI (dispositivi di protezione individuale), cioè a protezione di chi le indossa: hanno quindi un effetto ed uno scopo completamente diverso. L’immissione ordinaria in commercio è regolata dal Regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016 e dai relativi decreti applicativi nazionali. In periodo di emergenza COVID-19 il Governo, analogamente a quanto deciso per le maschere ad uso medico affidate all’ISS, ha previsto un percorso in deroga affidato all’INAIL.

E’ quindi evidente che i 2 istituti (ISS e INAIL) svolgono compiti analoghi da questo punto di vista, ma su dispositivi diversi e in ambiti diversi.

E’ importante ricordare che ci sono 2 importanti limitazioni connesse alla deroga ISSo INAIL:

  • è valida sono fino al termine dello stato di emergenza COVID
  • è valida solo in Italia (e non negli altri paesi UE)

E’ possibile superare queste 2 limitazioni se si sceglie la strada della Marcatura CE.

 

Nel periodo di emergenza COVID-19 le maschere facciali ad uso medico possono essere immesse sul mercato secondo 2 modalità parallele fra loro alternative:

  1. Secondo la procedura ordinaria prevista dalla Direttiva Dispositivi Medici (93/42/CEE, indicata anche come MDD, Medical Devices Directive, recepita in Italia dal D.Lgs. 47/97), valida fino al 26 maggio 2021, oppure dal Regolamento Dispositivi Medici (UE/2017/745, indicato anche come MDR, Medical Devices Regulation). Tale modalità non è legata all’emergenza COVID-19, e quindi rimarrà attiva, sia come metodo che come risultato, anche dopo la fine dell’emergenza. Inoltre, tale modalità di immissione è riconosciuta automaticamente anche negli altri paesi dell’Unione Europea. [N.B.: La Direttiva 93/42/CEE doveva uscire di scena il 26 maggio 2020, ma con il Regolamento (UE) N. 2020/561 del 23/04/2020 il Parlamento Europeo e il Consiglo Europeo hanno deciso, a causa dell’emergenza COVID-19, di rinviare di un anno il Regolamento Dispositivi Medici].
  2. Secondo la procedura in deroga prevista dal DPCM N.18 del 17 marzo 2020 (“Cura Italia”), integrato dal Comunicato  del Ministero della Salute del 18 marzo 2020, che permette di richiedere all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con opportuna documentazione, una autorizzazione all’immissione in commercio. E’ però fondamentale ricordare 2 limiti importanti per la validità di tale autorizzazione in deroga:
  • E’ valida solo per il territorio nazionale, in quanto il Governo Italiano e i suoi organi tecnici (come l’ISS) non hanno possibilità di dettare regole per gli altri paesi della UE
  • E’ valida solo fino alla fine del periodo di emergenza COVID-19 (al momento di pubblicazione di questa pagina tale limite è fissato al 31 luglio 2020): trascorso tale periodo le maschere immesse sul mercato con questo canale non potranno più essere considerate dispositivi medici se non regolarizzate secondo la Direttiva Dispositivi Medici o secondo il Regoalmento Dispositivi Medici.

I requisiti tecnici ed organizzativi tuttavia sono gli stessi per i 2 canali di immissione sul mercato, e cioè:

  • conformità alla norma EN 14683:2019, che stabilisce i requisiti tecnici, che devono essere verificati con prove iniziali di tipo
  • messa in servizio di un sistema di gestione della qualità della produzione, conforme alla ISO 13485:2016, o anche alla ISO 9001:2015, non necessariamente certificato ma sicuramente attivo, che assicuri il controllo dei processi, la conformità dei prodotti agli esemplari sottoposti a prove di tipo e la tracciabilità dell’intero flusso produttivo
  • l’inserimento nel sistema di gestione della qualità di un piano di controllo statistico, basato su un campionamento normato, che assicuri il livello di qualità accettabile (LQA o AQL) previsto dalla norma EN 14683, cioè il 4% (massima percentuale stimata di prodotti non conformi immessi sul mercato).

In presenza di questi requisiti minimi, l’immissione con marcatura CE prevede la presentazione di una pratica telematica sul sito del Ministero della Salute per la registrazione del produttore (se non già registrato) e il caricamento della maschera sul Repertorio dei Dispositivi Medici. Al termine della procedura, se tutto si completa regolarmente, il sistema telematico fornisce un numero di repertorio che deve essere riportato sulle confezioni e sulla documentazione referita al prodotto insieme al marchio CE.

Con gli stessi requisiti fino a fine emergenza COVID si può presentare all’ISS una domanda di autorizzazione in deroga, con la modulistica prevista sul sito dell’ISS stesso, allegando tutti i documenti richiesti (inclusi i report delle prove) ; in caso di approvazione della documentazione l’ISS concede deroga a produrre e immettere in commercio fino a fine emergenza. Le maschere così immesse sul mercato non devono avere la marcatura CE, ma il riferimento all’autorizzazione ISS.

Il passaggio dall’ISS è una facoltà, non un obbligo. Niente vieta che dopo l’autorizzazione ISS un produttore decida di proseguire il percorso e registrare la maschera come Dispositivo Medico marcato CE con l’apposita procedura sopra descritta, in modo da continuare la produzione e l’imissione in commercio anche dopo la fine dell’emergenza COVID.

L’acronimo MSA sta per Measurment System Analysis, cioè Analisi del Sistema di Misura.

E’ uno degli strumenti (tools) per la qualità previsti dal Manuale AIAG (Automiotive Industry Action Group), ed ha lo scopo di dimostrare, attraverso evidenze sperimentali, che l’incertezza di misura prodotta da un sistema di misura specifico è “compatibile” con le tolleranze che il sistema di misura è chiamato a verificare, cioè che l’incertezza è piccola rispetto all’ampiezza del campo di tolleranza.

Lo studio MSA prende in esame le diverse componenti dell’incertezza di misura, come il contributo della strumentazione, del campione di riferimento, dell’ambiente di misurazione, degli operatori (tranne ovviamente che per i sistemi automatici) insieme alla variabilità delle parti.

Uno studio MSA ben condotto è fondamentale per assicurare confidenza nelle misurazioni condotte e nella verifica di conformità ai requisiti.

Anche se lo strumento è nato nell’ambito automotive, ciò non significa che non sia utile e proficuo anche in altri settori.

Gli ftalati, cioè gli esteri dell’acido ftalico, sono composti organici che fino a qualche anno fa erano largamente utilizzati dall’industria delle materie plastiche, primariamente come additivi per migliorare le caratteristiche di flessibilità e di resistenza di alcuni poliimeri tendenzialmente rigidi e fragili, in primis il PVC (cloruro di polivinile).

Con il tempo si è però scoperto che questi composti, o additivi, costituiscono un serio problema per la salute, in quanto sono capaci di interferire con il sistema endocrino< oltre a provocare danni al fegato, infatti, sono capaci di “mimare” alcuni ormoni e quindi di creare squilibri ormonali, sopratutto nei piccoli, e danneggiare il sistema riproduttivo maschine e femminile.

Per quata ragione l’Unione Europea ha prima limitato l’uso di alcuni ftalati per prodotti destinati a neonati (articoli per puericultura) o per bambini fino a 12 anni; successivamente ha esteso i divieti anche a prodotti a contatto con alimenti destinati anche ad adulti.

In particolare il Regolamento UEN. 2018/2005, che entrerà in vigore dal luglio 2020, inserisce nuovi ftalati e nuovi prodotti nelle limitazioni.

Oggi è possibile con tecniche analitiche di tipo cromatografico rilevare la presenza di ftalati in materiali plastici, e quindi verificare che i limiti normativi siano rispettati.

Materiali

Sì, oggi è possibile conoscere con estrema rapidità ed elevata accuratezza la composizione di una lega metallica senza ricorrere alla lunga e costosa analisi “per via umida” (che ancora oggi per ragioni storiche conserva la sua validità per ragioni legali, ma che è stata abbondantemente sorpassata sul piano industriale).

Con una apparecchiatura speciale, detta Spettroscopio ad Emissione Ottica (OES, Optical Emission Spectroscope) o più semplicemente Quantometro, abbastanza sofisticata ma affidabile e rapida da usare, è possibile in pochi minuti conoscere la composizione di un acciaio o di una lega leggera, dispondendo anche di un campione di pochi grammi: è sufficiente un dischetto di almeno 10 mm di diametro e pochi millimetri di spessore per avere un’analisi completa e attendibile della lega. L’analisi si basa sull’esame ottico del contenuto cromatico della scintillazione emessa a seguito di una scarica elettrica sulla superficie in atmosfera di Argon: ogni elemento ha una sua “firma” composta da bande colorate molto precise, di intensità proporzionale alla relativa quantità.

Il Laboratorio CEQ è in grado di eseguire questa analisi con un quantometro allo stato solido dotato di un opportuno software di elaborazione per acciai e leghe leggere: per leghe diverse (es. leghe di rame) il servizio viene commissionato a laboratori esterni convenzionati.

Per conoscere meglio le modalità e i costi dell’analisi si prega di contattar il Laboratorio CEQ (Tel. 0572-954552).

Marcatura CE

Le novità sulla frequenza di riqualifica dei processi introdotte dalla EN 1090-2 riguardano i processi di foratura, punzonatura e taglio termico, per i quali ora è la norma stessa che definisce una frequenza annuale; l’edizione precedente lasciava al produttore il compito di fissare la frequenza;questo non significava che la qualifica era valida “in eterno”.

Per quanto invece riguarda i processi di saldatura, prima come adesso un WPQR (Weld Procedure Qualification Report) vale fino a quando non si variano le condizioni per cui è stato ottenuto, cioè finché non varia la WPS a cui fa da supporto.

La validità della qualifica dei saldatori invece è stabilita dalla UNI EN ISO 9606-1 (per gli acciai) o dalla UNI EN ISO 9606-2 (per le leghe leggere), e varia a seconda delle condizioni di rinnovo. Solitamente si applica una frequenza di 3 anni, purché si mantengano evidenze che almeno ogni semestre il saldatore ha eseguito saldature “coperte” dalla qualifica.

Maschere e Dispositivi di sicurezza

Il termine anglosassone “bioburden”, traducibile in italiano con “carica microbica” indica la quantità di microrganismi (microbi) contenuti in un materiale.

Nel conteggio di tali organismi si comprendono sia i batteri che i funghi.

Il valore si determina con procedure di analisi microbiologica consistenti essenzialmente nello sviluuppo di estratti del materiale in esame all’interno di piastre (es. capsule di Petri, vedi foto a destra) contenenti “bordo di coltura”, all’interno di incubatori in cui si realizzano condizioni di coltura controllate (temperature ed umidità) per un tempo determinato. Al temine del ciclo di sviluppo si contano le colonie di microrganismi attraverso degli appositi apparecchi  (“contacolonie”).

L’unità di misura in cui si esprima la carica microbica sono le UFC (unità fomanti colonie, CFU in inglese), o meglio in UFCper unit; di massa del materiale analizzato (es. UFC/g).

Il bioburden è un importante indice di “pulizia”del materiale, perché ci dice quanto il processo attraverso cui il materiale o l’oggetto sono stati ottenuti è caratterizzato dalla presenza di microbi. Non è invece un indice di sterilità, che si misura in modo diverso. Ma conoscere il bioburden di oggetti da sottoporre a sterilizzazione (indumenti sanitari, mascherine, ecc) è importante per capire se la carica microbica è tale da poter essere abbattura con la sterilizzazione (quando richiesta), o se invece è così elevata da mettere in crisi il sistema stesso di sterilizzazione per eccesso di carica.

Per le maschere facciali ad uso medico (non sterili), per esempio, il limite massimo ammesso è di 30 UFC/g).

La domanda non ha una risposta unica, o meglio la risposta deve tener conto del tipo di protezione che si vuole ottenere.

Maschere Facciali ad uso medico

Se l’obiettivo è evitare che chi potrebbe essere infetto (anche inconsapevolmente) contagi a sua volta le persone con cui entra in relazione, la soluzione più naturale potrebbe essere una “maschera facciale ad uso medico” (c.d. “mascherina chirurgica”) conforme alla UNI EN 14683:2019. Tale tipo di maschera è concepita e controllata per assicurare un adeguato grado di protezione del “campo operatorio” (o meglio del “campo operativo” cioè dell’ambiente in cui opera chi la indossa) dagli agenti infettivi (potenzialmente) trasmessi con l’espirato, in modo da evitare che raggiungano chi si trova nelle vicinanze. Di queste maschere esitono 3 tipi:

  • Tipo I, con grado di filtrazione almeno del 95%, destinate prevalentemente ai pazienti per ridurre il rischio di contagio verso il personale sanitario o assistenziale (i cosidetti “caregivers”)
  • Tipo II, con grado di filtrazione almeno del 98%, destinate prevalentemente al personale sanitario e assistenziale per ridurre il rischio di contagio verso i pazienti o altro personale
  • Tipo IIR, con grado di filtrazione almeno del 98% e protezione verso gli spruzzi di liquidi biologici (sangue, saliva, urine, ecc.), destinate anch’esse al personale sanitario per le procedure che non possono escludere la proiezione di questi liquidi verso la faccia del personale stesso (interventi chirurgici od odontoiatrici, prelievi di sangue, applicazione di flebo o cateteri, ecc.)

Queste maschere sono classificate come Dispositivi Medici (DM) di Classe I, e quindi di norma soggette a obbligo di marcatura CE secondo la Direttiva 93/42/CEE (solo fino al 20/05/2020 salvo rinvii) o il Regolamento Dispositivi Medici (UE) N. 745/2017.

Per l’emergenza COVID-19 in Italia il DL “Cura Italia” consente una procedura in deroga tramite approvazione dal parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

 

Maschere Filtranti FFPx

Se invece l’obiettivo è proteggere chi indossa la maschera dall’infezione da parte di chi è infetto o potenzialmente infetto ma maschera facciale ad uso chirurgico non è la scelta da farsi. In questo caso bisogna ricorrere alle maschere (o semimaschere) filtranti conformi alla UNI EN 149:2009, e in particolare ai tipi FFP2 (capacità filtrante del 94%) o FFP3 (capacità filtrante del 99%). Queste maschere sono concepite e validate per la protezione di chi le indossa da corpuscoli, particelle, goccioline, ecc. anche di piccole dimensioni, potenzialmente contenenti il virus COVID-19 (che ha dimensioni fra 40 e 200 µm circa).

Le maschere di questo tipo devono aderire perfetttamente al volto chiudendo ogni via di passaggio dell’aria inspirata che non passi dal materiale filtrante della maschera stessa. Sono normalmente un po’ più faticose da portare rispetto alle maschere ad uso medico perché sono più aderenti e quindi tendono ad affaticare un po’ di più la respirazione. Alcuni tipi hanno valvole per l’uscita rapida dell’espirazione, ma per questo sono ancora meno protettive rispetto agli altri per i rischi connessi alla potenziale infezione di chi le indossa.

Le maschere UNI EN 149:2009 sono a tutti gli effetti dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) ai sensi del D.Lgs. 81/2008, e il loro uso è obbligatorio negli ambienti di lavoro dove il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) ne prevede l’adozione. Come DPI devono essere immessi sul mercato con marcatura CE attraverso un Organismo Notificato (NoBo, Notified Body).

Per l’emergenza COVID-19 in Italia il DL “Cura Italia” consente una procedura in deroga tramite approvazione dal parte dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (INAIL).

 

Maschere filtranti ad uso non professionale

Questa tipo di dispositivo non era previsto dalla legislazione nazionale fino al 17 marzo 2020: E’ stato introdotto dal DL “Cura Italia” all’Art. 16 comma 2 come “maschere filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga rispetto alle vigenti norme sull’immisisone in commercio”. Il Comunicato del Ministero della Salute del 18/03/2020 fornisce indicazioni applicative di questo comma, affermando che:

  • tali maschere non sono da considerare né DM né DPI
  • non sostituiscono ma rafforzano il distanziamento sociale
  • in questo senso possono essere utilizzate sui luoghi di lavoro non come primo dispositivo di protezione ma come rafforzamento del distanziamento quando vi è il rischio che la distanza minima possa non essere rispettata per brevi periodi
  • è compito del fabbricante assicurare che sia chiara all’utilizzazione la destinazione d’uso prevista (e ovviamente consentita dalle leggi), nonché garantire che non vengano introdotte nocività o condizioni di rischio aggiuntivo.

Per queste maschere non è richiesta alcuna verifica obbligatoria né deroga da parte di enti preposti né infine marcatura CE (che non è possibile in quanto mancano regolamenti o direttive di riferimento specifiche).

Non possono però essere sostitutive di (o impiegate come) DPI o DM, quando uno o entrambi questi dispositivi sono previsti da norme regolamentari o dal DVR (documento di valutazione dei rischi).

Pur in mancanza di un requisito normativo (né cogente né volontario) in tal senso, è comunque suggerito accompagnare l’immissione sul mercato di queste maschere con una scheda tecnica che ne indichi:

  • uso previsto dal fabbricante
  • uso vietato o non previsto dal fabbricante  (e quindi da evitare) 
  • caratteristiche funzionali garantite